
Tratto dal Resto del Carlino del 07/03/2009
TUTTI a casa. Il sindaco di Badia Polesine Paolo Meneghin ha rassegnato le proprie dimissioni alle 21.52 dell’altra sera aprendo le porte al commissariamento del Comune fino alle elezioni amministrative del 6-7 giugno. Una decisione sofferta ma resa inevitabile dalla constatazione che i numeri per resistere (cercati, forse, con poca convinzione) non c’erano più: 12 consiglieri (due dell’Udc, quattro di FI, tre di Badia al centro’, Mirko Tomì, Mariolina Fogagnolo e Silvia Veronese) erano già pronti a presentare una raccolta di firme con la dichiesta di dimissioni. Si è trattato del degno epilogo di una crisi iniziata per la verità già il 22 dicembre dello scorso anno, quando il gruppo degli ex margheritini, cappeggiati dall’ex sindaco Edo Boldrin, si era defilato dalla maggioranza figlia del ribaltone di due anni prima. Uno sfilacciamento proseguito con le dimissioni del presidente del Consiglio comunale Mauro Usini (Pd) e culminato con quelle dell’ex assessore alla pubblica istruzione Silvia Veronese, seguite da feroci polemiche sulla cattiva gestione del bilancio.
UNA situazione difficile, dalla quale il sindaco aveva tentato di uscire cercando di recuperare la promessa di sostegno di alcuni fuoriusciti e mantenendo i contatti con i leader politici di riferimento: da una parte il presidente provinciale di An Luca Bellotti, garante della fedeltà dei suoi «pretoriani» (gli assessori Barbieri e Rigobello e i consiglieri Baccaglini e Moretti) e dall’altra l’assessore regionale Renzo Marangon (Fi). Da quest’ultimo, secondo indiscrezioni, sarebbe giunta una porposta di accordo che avrebbe permesso a Meneghin di incassare il sostegno dei suoi quattro fedelissimi (Rossetto, Guerra, Rossi e Visentin) in cambio della «testa» dell’assessore Marcello Ferreri e del presidente della Casa di riposo Fabrizio Rossi, storici esponenti dell’ex ala bendiniana di Fi. Una proposta che Meneghin avrebbe lasciato cadere nel vuoto, firmando con molta probabilità la sua fine politica anticipata. Vani i tentativi in extremis di raggiungere un accordo con Marangon, inutilmente chiamato al telefono (spento) dallo stesso sindaco. L’impressione è stata quella di un primo cittadino presentatosi in aula allo sbaraglio, senza un piano A e nemmeno un piano B. E i risultati si sono visti...
A FAR capire alla minoranza (che in realtà tale non era) che Meneghin era arrivato in Consiglio senza i numeri necessari per resistere in sella era stata la richiesta del sindaco di «soprassedere» alla nomina del nuovo presidente del Consiglio. Annunciando le dimissioni — «per tutelare la mia dignità e onestà intellettuale», ha precisato —, Meneghin ha tratteggiato scenari foschi: «Ora Badia rischia di perdere i finanziamenti per il teatro: resteranno fermi il Pat e il bilancio». poi l’annuncio: «Mi ricandiderò alle prossime elezioni».
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